La lotta allo spreco alimentare nelle mense italiane: le linee guida del Ministero della Salute
Ogni anno più di 15 miliardi di euro, lo 0,88% del Pil, finisce nella spazzatura degli italiani, di cui quasi 12 miliardi di euro all’interno delle mura domestiche. Verdura, frutta e pane sono fra gli alimenti più sprecati, seguiti da bevande analcoliche, latte e latticini, legumi e pasta.
Se, però, negli ultimi anni le famiglie si sono mostrate più attente e sensibili e si è passati da un italiano su due che nel 2014 dichiarava di gettare cibo ogni giorno, ad uno su cento nel 2018, il problema rimane nel settore pubblico (scuole, uffici, ospedali, caserme). Secondo alcune stime, la ristorazione collettiva sarebbe responsabile del 14% di tutto il cibo sprecato nell’Unione Europea, con un costo stimato di smaltimento delle derrate alimentari di circa 143 milioni di euro.
È necessario correre ai ripari educando le persone a una maggiore consapevolezza sul tema e adottando un adeguato sistema di gestione e monitoraggio nei servizi di ristorazione ospedaliera, aziendale e scolastica. Per questo, lo scorso anno, la Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione (Dgisan) del Ministero della Salute, ha redatto delle linee guida rivolte alle aziende e agli enti che operano nel settore della ristorazione collettiva per prevenire e ridurre gli sprechi alimentari, il conseguente impatto sull’ambiente e per favorire prassi socialmente responsabili.
La ristorazione ospedaliera distribuisce in Italia circa 269 milioni di pasti l’anno, un terzo dei quali (31,2%) viene sprecato a causa di diversi aspetti come emergenze non pianificabili o variazioni nelle condizioni cliniche dei pazienti. Allo stesso modo, durante il ricovero, lo stato nutrizionale dei degenti può peggiorare, oltre che per la malattia, anche a causa dell’alimentazione. La riduzione degli sprechi deve essere un obiettivo prioritario per garantire la copertura dei fabbisogni nutrizionali dei pazienti e prevenire la malnutrizione ospedaliera.
Il decalogo dettato per il settore ospedaliero suggerisce di migliorare la pianificazione dei pasti e intervenire, così, lungo tutta la filiera: ottimizzando l’approvvigionamento delle materie prime sulla base delle reali necessità giornaliere; dando la possibilità di prenotare i pasti individualmente, secondo le proprie esigenze; progettando menu adeguati con un numero ridotto di scelte e porzioni differenti. È necessario formare il personale di cucina e di reparto su come ridurre gli sprechi, sensibilizzare i pazienti e i familiari sull’impatto ambientale, economico e nutrizionale dello spreco alimentare e prevedere indagini di soddisfazione periodici e gruppi di lavoro per discutere e introdurre miglioramenti. Bisogna favorire i contatti tra mense, servizi sociali ed Enti caritatevoli per una corretta redistribuzione dei residui e, infine, gestire in modo corretto e trasparente il riciclo dello scarto che non è stato possibile prevenire o recuperare.
La ristorazione scolastica produce, ogni giorno, uno scarto pari al 12,6% dei pasti forniti, composto soprattutto dai contorni (22%), dai secondi piatti (13%) e dai primi piatti (11%). Il problema è che nelle scuole manca una corretta rilevazione degli scarti, spesso demandata alle ditte appaltatrici. È importante che ogni struttura adotti il corretto sistema di monitoraggio delle eccedenze e dei residui alimentari, ricercandone le cause per perseguire obiettivi di riduzione e di riutilizzo, anche con il coinvolgimento di studenti e insegnanti.
Le dieci linee guida dettate per il settore scolastico prevedono un rilevamento delle eccedenze e dei residui attraverso procedure standardizzate e con il coinvolgimento degli studenti, la conseguente individuazione delle criticità tra tutti i soggetti coinvolti per creare un contesto con maggior coordinamento, e l’introduzione, all’interno dei capitolati, di elementi di flessibilità che permettono di adeguare il servizio alle reali esigenze. È importante promuovere la cultura sugli sprechi formando i docenti e attivando percorsi educativi e di sensibilizzazione sugli impatti ambientali, economici e sociali prevedendo il coinvolgimento anche delle famiglie. Sarebbe preferibile avvicinare il più possibile i centri di cottura a quelli di somministrazione e consumo e rendere i locali mensa più accoglienti e funzionali. Si consiglia di prevedere una seconda razione di frutta e di utilizzare gli avanzi (frutta, pane e budini) per la merenda del giorno dopo o, in alternativa, dare la possibilità ai ragazzi di portarli a casa. Bisogna agevolare il recupero degli scarti da parte dei servizi sociali e di Enti caritatevoli, garantendo procedure corrette e trasparenti di riciclo di quanto non recuperabile.
Nella ristorazione aziendale si registra una minore percentuale di spreco, pari al 2-3%. Questo è dovuto a due fattori: la maggior parte degli sprechi consiste negli avanzi dei fruitori che, in generale, tendono ad aumentare quando il pasto è totalmente gratuito; inoltre le mense aziendali sono tipicamente gestite da società esterne che hanno interesse a ridurre i costi, quindi gli sprechi. Una corretta programmazione e previsione dei consumi consentirebbe di ridurre ulteriormente le eccedenze.
Il decalogo per il settore aziendale prevede l’adozione di un sistema di supporto decisionale (software o App) per la programmazione dei pasti che tenga conto delle statistiche di consumo, delle preferenze dei lavoratori ma anche di informazioni esterne (scioperi, eventi aziendali, etc.), l’utilizzo di tutti gli strumenti possibili (come gli abbattitori) per ridurre le eccedenze in cucina e l’individuazione delle criticità tra tutti i soggetti coinvolti. È importante promuovere la collaborazione tra cuochi e dietisti per creare menu equilibrati, ma allo stesso tempo appetibili, promuovere il riuso degli avanzi, prevedere la possibilità di realizzare porzioni diverse a seconda delle preferenze dei consumatori e promuovere campagne di sensibilizzazione sugli sprechi alimentari e i relativi impatti. Quando non si riesce ad evitare lo spreco, bisogna favorire la redistribuzione dei pasti avanzati connettendo il gestore della mensa con i servizi sociali e gli Enti caritatevoli, o in alternativa, procedere al riciclo.
Fonte: salute.gov.it